Un milione e mezzo di persone in Turchia per operarsi: ma i medici avvertono, ‘si rischia la vita’

Il professor Diego Ribuffo, chirurgo plastico della Sapienza di Roma, spiega perché la corsa agli interventi low cost in Turchia è un fenomeno sempre più pericoloso.

Nel 2024, secondo i dati diffusi dall’International Health Services turco (USHAŞ), oltre 1,5 milioni di persone si sono recate in Turchia per motivi sanitari, generando un giro d’affari di circa 2,6 miliardi di euro. Numeri impressionanti che raccontano la crescita del cosiddetto turismo sanitario, una tendenza sempre più diffusa tra chi cerca cure e interventi a prezzi più bassi rispetto all’Italia. Ma dietro il fascino dei pacchetti “all inclusive” e dei listini convenienti, si nasconde un mondo dove i rischi per la salute possono diventare drammatici.

A riportare l’attenzione sul tema è il caso di Milena Mancini, 56 anni, di Isola del Liri (Frosinone), morta in un ospedale di Istanbul dopo una liposuzione. Ricoverata in terapia intensiva per 20 giorni a seguito di complicazioni post-operatorie, la sua storia ha scosso l’opinione pubblica e riacceso i riflettori su un fenomeno che, pur promettendo risultati rapidi e costi ridotti, può trasformarsi in tragedia.

“Prezzi bassi, ma sicurezza ridotta”: l’analisi del professor Ribuffo

“È un fenomeno reale e in forte aumento, dovuto soprattutto a motivi economici”, spiega Diego Ribuffo, professore di Chirurgia Plastica all’Università Sapienza di Roma e direttore del reparto di Chirurgia Plastica del Policlinico Umberto I. “Molti pazienti italiani, pur di risparmiare, accettano condizioni che non sarebbero mai considerate sicure in un centro italiano.”

Il professor Ribuffo evidenzia un problema chiave: chi parte per farsi operare all’estero spesso non conosce nemmeno il chirurgo che effettuerà l’intervento. “Non c’è la possibilità di una visita pre-operatoria in presenza. Ci si affida al professionista di turno, scelto al momento dell’intervento. È come giocare alla roulette con la propria salute.”

Turchia
La Turchia è una delle mete più frequenti per chi decide di risparmiare sulla chirurgia plastica-legahockeypista.it
La Turchia è una delle mete più frequenti per chi decide di risparmiare sulla chirurgia plastica-legahockeypista.it

Eppure, dopo l’intervento, i pazienti tornano quasi subito in Italia, senza alcun controllo post-operatorio. “Le medicazioni, il follow-up, la gestione delle complicanze — spiega Ribuffo — sono parte integrante dell’intervento stesso. Senza questo supporto, i rischi aumentano in modo esponenziale.”

Infezioni, necrosi e complicanze: i casi che tornano in Italia

Il professore sottolinea come molte complicanze, una volta insorte, finiscano per gravare sul sistema sanitario italiano. “Vediamo pazienti che tornano con infezioni, necrosi cutanee, esiti di lifting e addominoplastiche mal riuscite. Spesso non sanno neppure quale tipo di protesi sia stata impiantata o quale tecnica sia stata usata. Tutto questo rende difficile anche curarli.”

La Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica (SICPRE) ha istituito nel 2024 un registro nazionale delle complicanze da interventi eseguiti all’estero, in particolare in Turchia e Albania. “I dati sono in crescita costante – precisa Ribuffo – e mostrano che il risparmio iniziale può tradursi in costi enormi, sia per la salute del paziente che per la collettività.”

Interventi estetici sottovalutati: “Non sono operazioni banali”

Liposculture, lifting, trapianti di capelli, addominoplastiche: interventi che molti considerano “semplici”, ma che restano operazioni chirurgiche a tutti gli effetti. “Una liposuzione è un intervento importante. In mani esperte e in ambiente controllato, le complicanze sono rare, ma se qualcosa va storto all’estero, dove il paziente non è seguito, il rischio cresce in modo drammatico.”

Ribuffo individua una causa culturale dietro questa tendenza: la banalizzazione della chirurgia estetica. “I social hanno trasformato gli interventi in gesti di routine, quasi alla portata di tutti. Ma stiamo parlando di operazioni che richiedono competenze mediche, strumenti adeguati e un monitoraggio costante. Nessuno penserebbe di risparmiare su un’operazione al cuore: non si capisce perché si accetti di farlo sul proprio corpo.”

Come riconoscere i centri sicuri

Non tutte le cliniche straniere sono a rischio, precisa il professore: “In Turchia e in Albania esistono centri di eccellenza, con professionisti seri e strutture all’avanguardia. Ma non offrono certo i prezzi che vediamo nelle pubblicità online.”

E allora, come distinguere una clinica affidabile da una trappola pericolosa? “Primo: bisogna conoscere il chirurgo prima dell’intervento. Secondo: è indispensabile una visita in presenza e un piano di follow-up post-operatorio. Chi promette risultati immediati, pacchetti con volo incluso e dimissioni dopo 48 ore non sta offrendo sicurezza, ma un’illusione.”

Un fenomeno in espansione

Secondo le stime, oltre 70.000 italiani nel 2024 hanno scelto di farsi operare all’estero, in gran parte in Turchia. Il risparmio medio rispetto ai costi italiani varia dal 40% al 60%, ma come spiega Ribuffo, “il problema è che nessuno può garantire gli standard igienico-sanitari e la continuità delle cure.”

A questo si aggiunge un rischio etico: “Molte cliniche fanno leva sulla vulnerabilità delle persone, promettendo risultati miracolosi e minimizzando i rischi. È necessario – conclude il professore – un lavoro serio di informazione e prevenzione.”  L’appello del chirurgo è chiaro: “Se non si è certi della sicurezza, meglio rimandare l’intervento. La chirurgia non è mai un gioco, e la vita non ha prezzo.”