Tra le vette del Parco Nazionale del Gran Sasso, un borgo di pastori mostra l’anima più sincera dell’Abruzzo con secoli di memoria scolpita nella roccia
In Abruzzo esistono luoghi dove il tempo sembra rallentare. Uno di questi è Castel del Monte, borgo che emerge come un miraggio tra le montagne del Gran Sasso, custodendo scorci che narrano di una quotidianità ancora legata ai ritmi naturali. Definito uno dei borghi più belli d’Italia, si trova a oltre 1000 metri d’altitudine sul versante sud del monte Bolza. Il panorama domina la valle del Tirino, con colori che cambiano a ogni stagione. Chi arriva qui percepisce l’atmosfera sospesa di un paese che conserva cicatrici profonde, come quelle del sisma, ma che continua a vivere grazie alla forza dei suoi abitanti.
Passeggiare tra i vicoli significa muoversi dentro un racconto antico. Le case in pietra chiara, le scalinate che si arrampicano fino alla parte più alta del borgo, gli archi che uniscono un edificio all’altro, creano una trama compatta che rievoca storie di pastori, commerci e strategie militari. Essere qui vuol dire ascoltare il silenzio che rimbalza sulle pareti, con il vento che spinge sempre un po’ più in là lo sguardo.
Storia e architettura: dalle radici medievali al borgo-fortezza che veglia sulla montagna
La nascita del borgo affonda in secoli remoti, segnati dalla transumanza e dall’economia della lana. Nel Medioevo gli abitanti di un insediamento a valle, minacciati dalle incursioni longobarde, decisero di salire più in alto e costruire un castello che offrisse riparo e controllo del territorio. Da quella scelta nacque l’impianto urbano attuale. La fortificazione originaria si sviluppò nei secoli successivi, soprattutto tra Quattrocento e Cinquecento, quando la famiglia dei Medici investì nel commercio dei tessuti e diede nuovo slancio al borgo, trasformandolo in un centro strategico del mercato pastorale.
Chi osserva Castel del Monte oggi trova la testimonianza di quell’eredità. La chiesa di San Marco Evangelista, costruita attorno all’anno Mille e poi ampliata, rappresenta il punto più elevato del paese. La sua cupola ottagonale caratterizza il profilo del borgo e si riconosce da chilometri di distanza. Il campanile, con base quadrata, un tempo era torre d’avvistamento: la sua forma squadrata ricorda subito la funzione difensiva originaria.
Prima di raggiungere la chiesa si attraversa Porta Sant’Ubaldo, chiamata in dialetto “porta du ru cotte”. L’arco, inciso nella roccia, conserva ancora gli alloggiamenti per le armi da fuoco, a memoria di assalti e contrasti tra eserciti vicini, come quelli provenienti da L’Aquila. Ogni pietra sembra posata per difendere e raccontare.
La parte più affascinante resta però il Rione Ricetto, cuore antico della comunità. Le case si stringono l’una all’altra per non lasciare spazi vuoti, le stradine scorrono come vene di pietra. È un luogo dove l’immaginazione lavora senza fatica: si percepisce la vita di un tempo, le voci dei pastori, il fumo dei camini che saliva verso la montagna. La bellezza qui nasce dall’equilibrio tra necessità e resistenza.
In un itinerario non mancano edifici simbolo come la Taverna, riconoscibile grazie alla meridiana sulla facciata, e la Casa Antica, dove sono state ricreate scene di vita castellana con utensili, tessuti e arredi storici. Sono testimonianze che permettono di vedere com’era un’esistenza modellata dal clima, dalla terra, dalle mani.
Tradizioni vive: la lana, il museo e il legame con la montagna che non svanisce
Il rapporto tra Castel del Monte e la lana non è una semplice nota culturale. È il filo che unisce storie e famiglie, identità e paesaggio. La lavorazione dei tessuti ha dato lavoro e prestigio al borgo per secoli. La transumanza portava greggi a compiere lunghe tratte stagionali, con pastori che seguivano percorsi faticosi per garantire cibo e vita agli animali. Questo scambio continuo tra montagna e pianura ha plasmato usi, dialetti, feste e persino l’architettura locale.
Il Museo della Lana custodisce oggetti e strumenti reali di quel passato. Telai in legno, campioni di fibra, tinture naturali, raccontano il valore materiale e sociale di un lavoro lento, fatto di gesti antichi. Visitandolo si scopre la dignità di un mestiere che, anche se ridimensionato, rimane un simbolo di appartenenza. Chi vive qui sa che il borgo ha saputo proteggere ciò che conta davvero: un rapporto diretto con la montagna.
Camminare tra le botteghe e le vie strette conferma una sensazione chiara: Castel del Monte ha scelto di non dimenticare. Il suo futuro passa attraverso la memoria di ciò che è stato, senza perdere l’apertura verso chi arriva per la prima volta. Il turismo cresce, sì, ma a misura d’uomo. Quassù si trova un ritmo diverso, in cui gli occhi fanno da guida e il paesaggio completa la storia.
Lo sguardo spazia lontano, il vento porta profumi di terra e legna, il silenzio fa parte dell’esperienza. E chi si ferma abbastanza, capisce davvero perché sia considerato uno dei luoghi più preziosi dell’Abruzzo.